Le parole del progetto: Da Universal Design a Design for All

di DOLORES FERRARIO
architetto

Cosa c’entra la Psicologia Ambientale con la progettazione inclusiva? Semplice, proprio perché l’obiettivo della Psicologia Ambientale è la persona in rapporto con l’ambiente in cui vive (naturale, costruito e sociale), la conoscenza delle dinamiche che governano questo rapporto circolare aiuta i progettisti a dare risposte adeguate ai bisogni che emergono nella fase di approccio al progetto. Ecco quindi che pensare ad ambienti o ad oggetti che possono essere vissuti e usati dal maggior numero di persone, indipendentemente dalla loro età e capacità psicofisica, costituisce un grande cambiamento di mentalità che non solo ha prodotto leggi che obbligano i progettisti a pensare senza barriere architettoniche, ma anche ad un uso non discriminativo delle parole che definiscono le persone che vivono una disabilità, permanente o transitoria, fisica, sensoriale o percettiva.

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità emanata dall’ONU nel 2006 sancisce infatti che il termine persona è neutro, senza caratteristiche positive o negative, ed ha un valore universale per tutti gli esseri umani; aggiungendo la preposizione ”con” al momento in cui si verifica una diseguaglianza causata da barriere ambientali e comportamentali verso una persona che vive una fragilità, non si applica nessuna distinzione dispregiativa, anzi si mette in luce la responsabilità sociale dell’aver creato una condizione discriminatoria nei confronti di alcune persone.

Il concetto di Universal Design è stato introdotto dall’architetto americano Ronald L. Mace nel 1985 per descrivere il processo progettuale di prodotti e ambienti accessibili e utilizzabili da un ampio numero di persone senza adattamenti e rimaneggiamenti. L’Universal Design apre una nuova strada ai progettisti, che devono impostare il loro lavoro sulla base dei bisogni delle persone alle quali si rivolge il progetto, comprendendo nell’insieme dei destinatari anche persone che vivono con disabilità di vario tipo. Nell’arco vent’anni, dall’Universal Design si è passati all’Inclusive Design, allo Human Centered Design per arrivare al Design for All, ossia al design per la diversità umana, come recita la Dichiarazione di Stoccolma del 2004.

L’Universal Design si declina in sette principi stilati nel 1997 dai ricercatori del Centro per l’Universal Design dell’Università del North Carolina, principi che si applicano indifferentemente agli oggetti e agli ambienti e spazi costruiti:

  1. Equitable Use: uso equo, utilizzabile da tutti in modo identico o equivalente;
  2. Flexibilty in Use: uso flessibile, adattabile alle diverse abilità;
  3. Simple and Intuitive: facilità e comprensione di uso;
  4. Perceptible Information: trasmettere informazioni percettibili ed immediate, indipendentemente dalle condizioni ambientali o dalle abilità sensoriali;
  5. Tolerance for Error: minimizzare la possibilità di errore o azioni non idonee durante l’uso;
  6. Low Phisical Effort: contenimento dello sforzo fisico;
  7. Size and Space for Approach and Use: rendere lo spazio idoneo per l’accesso e l’uso in tutte le condizioni.

Seguendo questi principi, l’approccio alla progettazione è già di per sé inclusivo poiché non contiene il principio di superare o eliminare qualcosa (barriere architettoniche), ma muove dalla considerazione delle esigenze e dei bisogni del maggior numero di persone possibili. Pensare a spazi e ad oggetti inclusivi significa progettare con lungimiranza e con rispetto di tutte le fragilità. Proviamo ad immaginare uno degli ambienti tipici su cui è obbligatorio per legge garantire accessibilità, visitabilità e adattabilità, il bagno (domestico o di un luogo pubblico, non fa alcuna differenza): quando progettiamo un bagno per una persona con ridotta mobilità che si serve di ausili per il movimento, abbiamo la necessità di utilizzare dimensioni maggiori che ne consentono la fruizione in tutte le particolari condizioni; l’utilizzo di questi ambienti da parte di persone che non vivono una condizione di fragilità ma che ne apprezzano comunque la funzionalità è rappresentativo del fatto che se si progetta con criteri inclusivi davvero si pensa al maggior numero di persone possibile. Applicando il concetto a tutti gli ambienti e gli spazi, ma anche agli oggetti, ci rendiamo conto immediatamente di quale sia la differenza fondamentale tra un approccio progettuale privativo (eliminazione delle barriere architettoniche) e un approccio inclusivo: con il secondo abbiamo la possibilità di sviluppare un progetto unitario e non un progetto composto da tante parti a sé stanti che mal si accordano le une con le altre.

Con le sue ricerche evidence based la Psicologia Ambientale ci aiuta a conoscere quali caratteristiche devono avere gli ambienti per produrre sensazioni di benessere e di sicurezza nei fruitori; è quindi importante conoscere gli effetti dei fattori ambientali quali luce, rumore, colore, riconoscibilità, sicurezza, etc.; ci sono disabilità come i disturbi neuro-cognitivi che mutano nel tempo in una lenta progressione e che si declinano in mille sfaccettature pur con tratti comuni, per i quali è necessario un approccio bio-psico-sociale che metta al centro del progetto la persona con i suoi bisogni e le sue preferenze talvolta inespressi, oltre alle persone che se ne prendono cura e che devono disporre di un ambiente sicuro e supportivo, cioè capace di semplificare le azioni quotidiane della cura. Oltre alla funzionalità degli spazi e all’utilizzo di arredi idonei per l’ambito o gli ambiti di fragilità oggetto del progetto, è necessario ricordare che a volte occorre procedere per tentativi poiché le soluzioni proposte, anche se progettualmente corrette, si possono rivelare inidonee in quanto non soddisfano i bisogni di chi non è in grado di esprimere le proprie preferenze e necessità.

Ora sta ai progettisti cogliere la sfida dell’approccio inclusivo alla progettazione: con gli stimoli e il supporto della Psicologia Ambientale, sarà possibile ridare all’Architettura quella valenza sociale di cui tanto abbiamo bisogno.

 

 Per approfondire:

Arenghi, A. (a cura di) (2007). Design for all. Progettare senza barriere architettoniche. Milanofiori Assago (MI): UTET Scienze Tecniche.

Lidwell, W., Holden, K. e Butler, J. (2003). Universal Principles of Design. London: Rockport Publishers; trad. it. Principi universali del design. Modena: Logos, 2005.

Ministero per i beni e le attività culturali (2008), Decreto 28 marzo 2008: Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale.

Steinfeld, E., Maisel, J. (2012). Universal design. Creating inclusive environments. New Jersey: Wiley & Sons.