Jerusalema e il desiderio di sentirsi a casa

di VERONICA MURRONI
psicologa e psicoterapeuta


Jerusalema, nato dalla collaborazione tra il produttore discografico sudafricano Master KG e Nomcebo Zikode, è uno dei brani più ascoltati e ballati durante il 2020. Cantata in lingua venda nasce come un gospel, un’invocazione verso Dio per ricevere protezione ed essere guidato nella vita, una preghiera condensata nel nome di un luogo, Gerusalemme: 

Gerusalemme è la mia casa
Guidami
Portami con te
Non lasciarmi qui
Gerusalemme è la mia casa
Guidami
Portami con te
Non lasciarmi qui…

Il mio posto non è qui
Il mio regno non è qui
Guidami
Portami con te
Il mio posto non è qui
Il mio regno non è qui
Guidami
Portami con te”

Ecco che Gerusalemme non è più solo uno spazio fisico, bensì un luogo denso di significato, verso cui si tende, simbolo delle proprie aspirazioni, meta da raggiungere per potersi sentire in sintonia con sé stessi e con i propri valori.

Questo brano che tutto il mondo ha condiviso mentre al tempo stesso era accomunato dalla pandemia, ci ha accompagnato e più in generale lo si potrebbe leggere come l’espressione del desiderio di ricongiungersi con qualcuno, di raggiungere un luogo a noi caro. Tale speranza che tutti abbiamo presumibilmente nutrito in qualche momento della nostra vita, forse, in questo ultimo periodo segnato dall’emergenza del Covid-19, la stiamo tuttora provando, proprio perché, a causa delle restrizioni necessarie, ancora non possiamo spostarci e recarci dove vorremmo.

E probabilmente la maggior parte di noi ha una propria “Jerusalema” a cui tiene, un luogo in cui si sente “a casa”, uno spazio preferito dove è solito trovare ristoro, un ambiente la cui lontananza suscita dispiacere e talvolta malinconia.

Ma come mai scegliamo quel determinato luogo? Perché quel posto per noi diventa così speciale? Quali sono i processi coinvolti nella trasformazione di un ambiente inteso come “spazio fisico” a quello di “luogo significativo a livello soggettivo”?

Uno degli argomenti di cui si occupa la Psicologia Ambientale è proprio questo, il legame affettivo che si instaura tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Certamente non possiamo mettere sullo stesso piano il rapporto che si crea tra l’individuo e un determinato luogo con il legame che si crea tra due persone, però gli ambienti fisici che frequentiamo possono generare in noi sensazioni di piacevolezza o meno, calma o agitazione, spingerci a compiere azioni o inibirle, e laddove si tratta di luoghi in cui troviamo la presenza di altri individui o gruppi sociali, l’ambiente fisico si allarga, andando a includere anche tutta la gamma degli aspetti socio-affettivi relativi a chi ivi si trova.

Nella letteratura scientifica si parla di senso del luogo, “sense of place” (T.G. Gallino, 2007), ovvero del fatto che gli individui diano un significato soggettivo ai luoghi in base alle esperienze che vi hanno vissuto, ai rapporti che vi si sono instaurati con altre persone, ai propri valori sociali e culturali. Si parla inoltre di identità di luogo, “place identity” (Proshansky, 1978), per indicare le dimensioni del Sé individuale che definiscono la persona in relazione all’ambiente fisico, le persone cioè si identificano e definiscono sé stesse in base al senso appartenenza che nutrono per un determinato luogo.

Ma si parla anche di attaccamento al luogo,place attachment” (Baroni, 1998), per indicare una sorta di dipendenza che l’individuo sperimenta nei confronti di un determinato ambiente. Nel concetto di attaccamento al luogo l’elemento caratterizzante è l’area affettiva, emotiva e sentimentale che si sviluppa nell’interazione tra il soggetto e l’ambiente fisico.

In psicologia quando si parla di Attaccamento si fa riferimento a J. Bowlby (1969) e alla sua teoria dell’Attaccamento, secondo cui il bambino avrebbe una tendenza innata a sviluppare un legame particolare con la figura che si prende cura di lui e prevalentemente nella seconda metà del primo anno di vita metterebbe in atto una serie di comportamenti, tra cui il pianto e il sorriso, per ottenere la vicinanza con tale figura, al fine di ricevere protezione. Senza addentrarci nella teorizzazione di Bowlby, secondo Giuliani (2004) alcune caratteristiche dei legami d’attaccamento con le persone possono essere rintracciate anche nei legami d’attaccamento con i luoghi, ad esempio il perdurare del legame nel tempo, l’elemento di unicità, la ricerca di sicurezza e la sofferenza per la separazione.

T.G. Gallino (2007) sottolinea il fatto che comunque è difficile fare una distinzione tra luogo fisico e luogo inteso come contesto sociale, stabilire quanto il rapporto con le persone che si trovano nel luogo stesso vada a condizionare anche l’attaccamento al luogo. La stessa sostiene che il legame di attaccamento al luogo dipende dalla fase del ciclo di vita che si sta vivendo (ad esempio gli anziani tendenzialmente manifestano un attaccamento al luogo maggiore rispetto ai giovani adulti che stanno lasciando la casa d’origine per costruirsi un nucleo familiare proprio) e che vi possono essere legami di attaccamento con più luoghi.

Un legame di attaccamento al luogo può anche rompersi, ad esempio in una ricerca di Fried degli anni Sessanta erano state esaminate le reazioni di un gruppo di abitanti di un quartiere di Boston costretti a lasciare la propria abitazione a causa di una ristrutturazione urbana e si era notato che i vissuti emotivi manifestati erano simili a quelli che si esperiscono nella perdita di una persona cara. Rispetto a questo basta pensare ai fenomeni migratori e al disorientamento che si sperimenta nel lasciare un luogo conosciuto, prima di creare un nuovo legame di attaccamento con un altro luogo come ben descrivono le parole della protagonista del libro per l’infanzia “Una coperta di parole”:

Siamo venute in questo paese per metterci in salvo. Qui tutto era strano. Erano strane le persone. Il cibo era strano. Gli animali e le piante erano strani. Era strano persino il vento. Nessuno parlava con me. Quando uscivo mi sembrava di stare sotto una cascata di suoni strani. La cascata era fredda. Mi faceva sentire sola. Mi sembrava di non essere più io” (tratto da “Una coperta di parole”, Irena Kobald e Freya Blackwood, Mondadori, 2015)

La relazione con i luoghi è un fenomeno che si trasforma nel tempo, pensiamo ad esempio a F. Nietzsche e a suoi soggiorni a Sils Maria, in Engadina. Il filosofo vi trascorse sette estati (1881 e 1883-88) e sembrava averne un’alta considerazione, al punto da scrivere così: “Caro vecchio amico, sono di nuovo in Alta Engadina, per la terza volta, e di nuovo ho la netta sensazione che questo luogo come nessun altro al mondo sia la mia vera patria e il focolaio d’ispirazione” (F. Neitzsche a Carl von Gendorff, Sils-Maria, fine giugno 1883). Salvo poi, come spiega il biografo Massimo Fini nella sua autobiografia (2002, pag. 235): “Dell’amata Sils dirà negli ultimi anni: «Di tutti i miei soggiorni laggiù ho un ricordo terribile. Ero sempre malato, non avevo il cibo di cui ho bisogno, mi annoiavo mortalmente, privo della vista e senza persone intorno. Arrivavo sempre a settembre in una sorta di disperazione»”.

Possiamo dunque aggiungere che il senso che un luogo acquista per ciascuno dipende da fattori quali i propri progetti personali (se l’ambiente offre la possibilità di svilupparli), il momento di vita che si sta affrontando, la soddisfazione dei propri bisogni, il grado di coinvolgimento con il luogo (conoscenza delle persone che ci vivono, conoscenza degli aspetti fisici dell’ambiente).

Seguendo la sintesi che ne fa G.Gallino (2007) individuiamo cinque tipologie di attaccamento ai luoghi: 

1) Emotivo-familiare, legato ai luoghi in cui si è nati e cresciuti, ai luoghi dove si è trascorsa l’infanzia e l’adolescenza oppure viaggi e vacanze, si tratta di un attaccamento connesso alla memoria autobiografica e alle emozioni positive che si sono sperimentate;

2) Estetico, legato alla piacevolezza dei luoghi, alle caratteristiche del paesaggio, all’interesse per la presenza di edifici archeologici o religiosi;

3) Funzionale, legato alle opportunità pratiche che offre il luogo;

4) Socioemotivo, legato alla possibilità di avere rapporti interpersonali e di stringere relazioni con gli altri;

5) Cognitivo-culturale, che riguarda i luoghi dell’immaginario che abbiamo incontrato nelle storie lette o ascoltate, i luoghi della letteratura, dell’arte figurativa.

Questa distinzione, fatta per praticità, non impedisce che certi luoghi soddisfino più di uno o anche tutti i cinque tipi di attaccamento appena descritti.

E voi? Quali sono i luoghi in cui vi sentite “a casa?”

Qualunque essi siano, sulle note di “Jerusalema” speriamo di poterli nuovamente raggiungere presto viaggiando e spostandoci da un luogo all’altro in sicurezza!

 

Per approfondire:

Baroni, M. (1998). Psicologia ambientale. Il mulino.

Bowlby, J. (1976). 1: L’attaccamento alla madre (2. ed). Boringhieri.

Fini, M. (2002) Nietzsche. L’apolide dell’esistenza. Marsilio.

Giani Gallino, T. (2007). Luoghi di attaccamento: identità ambientale, processi affettivi e memoria. R. Cortina.

Giuliani, M.V. (2004) “Teorie dell’attaccamento e attaccamento ai luoghi”. In Bonnes, M., Bonnes, M., Bonaiuto, M., & Lee, T. (2004). Teorie in pratica per la psicologia ambientale. R. Cortina pp. 191-240.

Proshansky, H. (2016). The City and Self-Identity. Environment and Behavior, 10(2), 147–169.

https://www.youtube.com/watch?v=fCZVL_8D048

https://nietzschehaus.ch/it/