Case, città, persone e moeche

di  VERONICA MURRONI

psicologa e psicoterapeuta

Digitando su internet il termine “moeca”, lo si trova associato prevalentemente a siti dedicati all’arte culinaria, tra le prelibatezze della cucina veneziana. Questa la definizione che ne dà wikipedia:

Col termine di moeche si indicano nella laguna veneta e nella laguna di Marano i granchi verdi in fase di muta, quando cioè, nello spazio di poche ore, nei mesi primaverili (aprile e maggio) e autunnali (ottobre a novembre), abbandonano il loro rivestimento (carapace) e si presentano tenere e molli, da cui il nome”.

Nel film di Andrea Segre, “ Welcome Venice” , presentato in anteprima il 1° Settembre 2021 alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, le moeche assumono un ruolo di rilievo, soprattutto se l’opera viene letta attraverso lo sguardo della psicologia ambientale e della psicologia dell’abitare.

La storia è ambientata a Venezia nel periodo post pandemico Covid e la città, immersa nel dibattito attuale sul turismo di massa, ci viene mostrata mentre vive questo periodo di cambiamento. Le immagini della laguna, il dialetto parlato dai protagonisti, la descrizione delle abitudini del luogo, accompagnano il racconto in cui si snodano le vicende di tre fratelli (Alvise, Piero e Toni) e delle loro rispettive famiglie. Toni vive nella casa natale e a seguito di un incidente perde la vita, Alvise allora propone a Piero di vendere l’abitazione per crearne una locazione turistica. Inizia così lo scontro tra i due fratelli: Piero non vuole procedere con la vendita perché quella casa gli permette di continuare a praticare l’attività che svolgeva con il fratello defunto, la pesca delle moeche.

Subito vengono portati in evidenza i temi della perdita e del cambiamento attraverso l’episodio della morte di Toni, ma questi sono altresì rappresentati implicitamente dagli altri elementi presenti sullo sfondo: la città di Venezia, che perde i propri cittadini nativi, i quali in vista di nuove prospettive economiche la lasciano per andare in terraferma e popolarla di stranieri; la casa natale, che perde i propri abitanti originari e le proprie mura, ricostruite e adibite ad altro uso. E infine le moeche, che diventano il simbolo in cui sono condensati i processi di ciò che accade quando le cose, le case, le persone, vanno incontro alla trasformazione: si perde il proprio guscio e si rimane sguarniti, senza la vecchia struttura precedente e senza quella nuova, maggiormente esposti all’ambiente esterno, ipersensibili, fragili e vulnerabili.

Letto dal punto di vista della psicologia ambientale e della psicologia dell’abitare, questo film descrive molto bene quello che comporta la vendita o la ristrutturazione di una casa, il trasferimento da un luogo riconosciuto come proprio, l’acquisizione o la spartizione di una abitazione ereditata: decidere sul destino di una casa non è solo una questione di pratiche e atti concreti, è piuttosto qualcosa che rimanda anche a ciò che la casa rappresenta per la persona, ai significati che la casa porta con sé, alla tematica della separazione e delle proprie origini, al familiare, alla propria identità e ai vissuti affettivi legati al luogo.

Il legame con la casa si pone all’incrocio di diverse domande, su ciò che vorremmo, su ciò che cerchiamo, su ciò da cui vorremmo allontanarci, sui nostri desideri e sulle nostre paure.

Donatella Caprioglio nel suo testo intitolato Nel cuore delle case (2012) afferma che “Abitare in fondo è abitarsi” (p. 149) e a questo proposito potremmo dire anche che la difficoltà di “non abitare un luogo” è collegata alla fatica di “non abitarsi”. Se pensiamo ai senzatetto, ad esempio, non è un caso che un’alta percentuale di essi soffra di un grave disturbo della personalità derivato purtroppo da esperienze di abbandoni e vissuti traumatici, a dimostrazione del fatto che la fatica a mantenere un alloggio stabile possa essere anche il riflesso di una profonda fragilità interiore e quindi della fatica di “abitare” il proprio mondo interno di affetti e pulsioni (Campbell J.M., 2006). Allo stesso modo, non è detto che un alloggio scelto e fornito da altri possa essere vissuto in maniera positiva, in particolare da un senzatetto che vive il dilemma claustro-agorafobico descritto da Rey (1994), sentendosi intrappolato quando si trova uno spazio chiuso da solo. Per questo motivo non è sufficiente fornire una casa costruita perché la si possa “abitare”, ma è necessario creare dentro sé stessi la possibilità di una forma di “abitabilità”, una prima forma di contenimento che sia anzitutto psichico e poi fisico, poiché il problema della casa è un problema di spazio ma anche di identità.

Tutti questi aspetti, nel film, vengono rappresentati nel protagonista Piero, il quale non cambierebbe mai la sua casa natale per una più comoda e tecnologicamente avanzata, significherebbe staccarsi da alcune parti di sé, elaborare il lutto della separazione da quel luogo, dai profumi del cibo, dalla nebbia del mattino che trova al risveglio, dai versi dei gabbiani, anche Piero sarebbe un po’ moeca, come se perdere quella casa fosse come perdere la sua pelle, il suo guscio, e di conseguenza non sentirsi più “Io”, snaturarsi, vestire i panni degli altri e non i propri. L’oggetto casa, da questo punto di vista, ricorda il concetto di “Io-pelle” descritto da Anzieu (1985) come quella funzione della pelle che contiene gli stimoli pulsionali localizzati in precise sorgenti corporee. Similmente la casa, in particolare quella natale, nel tempo diventa contenitore delle esperienze affettive, emotive e sensoriali localizzate nelle stanze.  

Per questo la perdita di una casa, di una città distrutta a seguito di un terremoto o per una guerra tra Stati, tra fratelli che si contendono l’eredità, o a causa del monopolio economico che non tiene conto del valore paesaggistico dei luoghi, porta con sé la questione dell’elaborazione del lutto, il rischio della depressione e della malinconia, rischio che tuttavia in questo film sembra essere scongiurato: nel finale, surreale e divertente, saranno le moeche, alter-ego di Piero, a esprimere il dolore e la rabbia che si prova quando si perde la propria casa, ma anche la forza di chi non si arrende e prova in tutti i modi a riappropriarsi del proprio spazio.

Bibliografia

Campbell J.M. (2006) Homelessness and containment – a psychotherapy project with homeless people and workers in the homeless field. Psychoanalytic Psychotherapy, Vol. 20, No. 3, 157–174.

Caprioglio Donatella, Nel cuore delle case, Edizioni il punto d'incontro, Vicenza, 2012.

Didier Anzieu, L'io-pelle, Borla, 1987.

Rey, H. (1994) Universals of Psychoanalysis in the Treatment of Psychotic and Borderline States (ed. J. Magagna) (London: Free Association Books).

Segre Andrea, Welcome Venice, film, 2001.

https://it.wikipedia.org/wiki/Moleca